COMPARTO SICUREZZA: SECONDO IL CONSIGLIO DI STATO SEI SCATTI AGGIUNTIVI ANCHE PER PENSIONE A DOMANDA

31.08.2020

l Consiglio di Stato, mutando orientamento, ha riconosciuto il diritto al computo nel calcolo della buonuscita dei 6 scatti stipendiali per tutto il personale del comparto difesa, sicurezza e qualifiche dirigenziali di ruolo del Ministero dell'Interno collocati in pensione a domanda, compiendo 55 anni di età congiuntamente a 35 anni contributivi.

La sentenza n.1232 del 22.2.2019 del Consiglio di Stato ha stabilito che l'inclusione dei sei scatti stipendiali nell'elenco voci computabili ai fini della liquidazione della buonuscita spetta anche al personale che chiede di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile.

All'atto della cessazione del servizio, infatti, a tutto il personale del comparto Difesa, Sicurezza e qualifiche dirigenziali prefettizie vengono attribuiti d'ufficio e senza oneri a carico dell'interessato, 6 aumenti periodici di stipendio, ciascuno del 2,50%, calcolati sull'ultimo stipendio percepito, che comporta quindi una rivalutazione del 15% della base pensionabile. Per coloro che sono collocati in pensione a domanda, l'aumento dei sei scatti avviene a titolo oneroso rateizzato sino al raggiungimento del limite di età previsto per il ruolo d'appartenenza.

Sino ad oggi tale aumento veniva imputato nel calcolo sulla buonuscita solo per il personale cessato dal servizio per limiti di età, per inabilità al servizio d'istituto o per cessazioni equiparate a quelle per limiti di età. Oggi il Consiglio di Stato ha riconosciuto tale diritto anche per coloro che sono cessati a domanda con 55 anni di età e 35 contributivi.

Ma attenzione, è emerso che alcune sedi INPS non applicano l'aumento stipendiale dei sei scatti anche per coloro che sono cessati per riforma o per congedo equiparato a quello per limiti di età.

Sono importi che comportano un aumento della buonuscita che varia tra 8000 e 12.000 euro.

Consiglio di Stato, Sez. III, Sent. n. 1231 del 21/2/2019

La Sezione III del Consiglio di Stato, con la Sentenza n. 1231 del 22/2/2019, si è pronunciata sul ricorso proposto dal Prefetto di Bari avverso la determina INPDAP recante la liquidazione del trattamento di fine servizio, nella parte in cui ha omesso di computare nella base di calcolo i sei scatti stipendiali ai sensi dell'art. 6 bis d.l. n. 387/1987, rigettato dal T.A.R., il quale ha posto a fondamento della decisione la mancata inclusione dei sei scatti stipendiali nell'elenco delle voci computabili ai fini della liquidazione dell'indennità di cui si tratta, contenuto nell'art. 38 d.P.R. n. 1032/1973, nonché la non applicabilità alla fattispecie dedotta in giudizio del citato art. 6 bis d.l. n. 387/1987, concernente il personale "cessato dal servizio per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto", laddove il dott. Sc. è stato collocato a riposo per il raggiungimento del massimo di anzianità contributiva

Il ricorrente censura i diversi profili motivazionali della sentenza appellata, compreso quello, avente carattere autonomo ed autosufficiente, incentrato sulla non applicabilità dell'art. 6 bis d.l. n. 387/1987, deducendo che la norma concerne, ai sensi del secondo comma, anche "il personale che chiede di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e 35 anni di servizio utile".

Tale beneficio reclamato dalla parte appellante rinviene il suo fondamento normativo nel disposto dell'art. 6 bis D.L. n. 387/1987, ovvero in una disposizione successiva a quella recata dall'art. 38 D.P.R. n. 1032/1973 e dotata, nei confronti di quest'ultima, dei ogni coerente effetto integrativo.

Quanto poi al rilievo, contenuto nella sentenza appellata, secondo cui l'art. 6 bis D.L. n. 387/1987 sarebbe applicabile al solo personale "cessato dal servizio per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto", laddove l'appellante è stato collocato a riposo dal Ministero dell'Interno per il raggiungimento del massimo di anzianità contributiva, deve solo evidenziarsi, in senso contrario, che la situazione dell'appellante si attaglia perfettamente alla fattispecie contemplata dal secondo comma, a mente del quale "le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile".

Né la pretesa di parte appellante potrebbe trovare ostacolo, come prima facie ipotizzato con la citata ordinanza istruttoria, nel disposto di cui al secondo periodo del medesimo comma 2, ai sensi del quale "la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità", evincendosi dal provvedimento di collocamento a riposo del dott. Sc. che la relativa istanza è stata presentata il 31 gennaio 2011, allorquando cioè, avendo l'appellante compiuto i 62 anni di età e maturato oltre 42 anni di anzianità contributiva, era stato ormai superato lo sbarramento temporale suindicato.

Basti osservare, al fine di escludere ogni effetto decadenziale a carico dell'appellante, che l'art. 3 bis D.L. n. 387/1987, nell'estendere ai dirigenti della carriera prefettizia i benefici de quibus alla condizione che si tratti di personale "che cessi dal servizio nelle condizioni previste dai commi 1 e 2", fa testuale riferimento ai presupposti sostanziali per il riconoscimento del beneficio de quo (ergo, alle categorie di personale cui esso è destinato), piuttosto che alle relative condizioni procedimentali: ciò in quanto il rinvio alle "condizioni", che al suddetto fine devono sussistere al momento della cessazione dal servizio, allude appunto allo status soggettivo (anagrafico e previdenziale) dell'interessato, piuttosto che agli oneri procedimentali da osservare per l'acquisizione del beneficio de quo al suo patrimonio giuridico.

In ogni caso, proprio l'ambiguità della disposizione, evidenziata dai rilievi appena formulati, non consente di far discendere, dal mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di collocamento in quiescenza di cui al citato art. 6 bis, comma 2, secondo periodo D.L. n. 387/1987, alcuna conseguenza decadenziale, la quale presuppone evidentemente la chiarezza e perspicuità dei relativi presupposti determinanti.

fonte: ildirittoamministrativo.it

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